I ragazzi dello Stradone

Solo chi ha un villaggio nella memoria può essere un cosmopolita. Chi non ce l’ha è un apolide

Ernesto De Martino

Penso alle trasformazioni di Borgo San Frediano a Firenze delle cui ragazze aveva scritto Vasco Pratolini, al Giambellino del bar cantato a Milano da Giorgio Gaber o alle auto parcheggiate che quasi impediscono l’accesso alla scalinata di viale Glorioso a Roma spesso ricordata dal regista Sergio Leone “[…] facevamo a sassate, ci battevamo contro quelli di Monteverde. Era la nostra via Pál e avrei voluto farne un film […]”. – dall’interno del libro.

“Chi si appresta a leggere Fabio Evangelisti – qui alla sua seconda fatica letteraria, ancora legata alla memoria – immaginerebbe di seguirne la sua evoluzione politica, sapendolo così legato alla stagione dei grandi partiti e della cultura politica. Ma non è così: I ragazzi dello Stradone è un ricamo fatto a mano di un ambiente unico che sa di periferia e città, di laicità e religione, di ritualità e avventurosità. […]

C’era un tempo in cui attorno alla via Aurelia ferveva la vita di paesi, città e villaggi: lungo la più bella arteria d’Italia che ci collegava al resto dell’Europa, senza matematici calcoli di costi-benefici, sorgevano trattorie, officine, comunità, da lì passavano eserciti e papi, pellegrini e viandanti, carri tirati dai buoi e camion, il Cantagiro e il Giro d’Italia. […]

Sino agli anni Sessanta-Settanta su questa strada sinuosa ed elegante si inerpicavano file di autoarticolati con destinazioni ignote, camioncini colmi di frutta, macchine francesi da contestazione studentesca e macchine italiane adatte a trasportare la classe proletaria oltre l’Appennino.

Lo “Stradone” di Massa, in fondo, non è che un tratto di questa Aurelia, anche se urbanizzato. Chiunque fosse passato in quel breve tratto di strada non avrebbe immaginato tutto il fermento che agitava quel quartiere che aveva un suo ritmo interno, unico, irripetibile, così diverso da quello della grande strada che lì transitava.”

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