Dalle piazze alla presidenza: il trionfo del giovane Boric
SANTIAGO DEL CILE
Il nuovo, il più a sinistra e il più giovane presidente cileno della storia, Gabriel Boric Font, 36 anni il prossimo 11 febbraio un mese prima di entrare in carica, viene dal Sud del Paese dove i suoi avi si erano trasferiti dalla Croazia: la Patagonia. La terra amata da Luis Sepulveda, a cui i confini del mondo hanno ispirato alcune delle pagine più belle: “In questa terra mentiamo per essere felici. Ma nessuno di noi confonde la bugia con l’inganno’”. Il politico di Punta Arenas vuole che l’intero Cile non si senta più ingannato da chi, nel dopo Pinochet, ha sempre concentrato potere e soldi in mano a poche famiglie, quelle che vedevano volentieri al Palacio de la Moneda l’ultraconservatore José Antonio Kast, dichiaratamente seguace del generale-dittatore che guidò il Paese da settembre 1973 a marzo 1990 quando il referendum da lui stesso organizzato per garantirgli la presidenza a vita si rivelò un boomerang e tornò la democrazia.
“Quel periodo è definitivamente chiuso”, ha detto l’ex rivoluzionario Boric, abituato a cavalcare le piazze della protesta, appena conosciuti i risultati del ballottaggio – effettuato a soli tre giorni dalla morte della vedova Pinochet – che avevano ribaltato il primo turno e che permetteranno all’Assemblea Costituente di riscrivere la Carta del Cile. Molti più cileni del solito, oltre il 56%, sono andati a votare e ciò lo ha indubbiamente spinto al 55,8% dei suffragi. Kast ha ammesso la sconfitta quando ancora un decimo delle sezioni non erano state scrutinate, Boric ha risposto: “Sarò il presidente di tutti”. Il primo a complimentarsi è stato Lula, il primo a rammaricarsi Bolsonaro: il voto in Brasile sarà il prossimo crocevia che può cambiare tutta la politica sudamericana.
Il giovane neo presidente cileno era comunista ai tempi delle manifestazioni studentesche che portarono alla mobilitazione nelle università e che nel 2011 furono lo spartiacque per la nuova società del Paese. Boric era fra i più accesi a fianco di Camila Vallejo, il volto della protesta, e poi suo successore alla presidenza della Federacion de Estudiantes de la Universidad de Chile. Allora come oggi per Gabriel l’obiettivo da sconfiggere era Sebastian Pinera, che in quell’epoca ricopriva il suo primo mandato alla Moneda. Nel 2013, con la Vallejo, Boric fu eletto alla Camera dei deputati dove gli studenti portarono un vento nuovo nella transizione democratica. Nel 2019 guidò in piazza le reboanti manifestazioni scoppiate per l’aumento dei biglietti dei trasporti che però mettevano sul tavolo tutta la politica economica del Paese, ancora liberale. Nel documento, figlio di quelle proteste, che il neo presidente ha firmato prima delle elezioni per costituire il fronte ampio di “Approvo la dignità”, con la sinistra ma anche con la Democracia Cristiana e il Partido Socialista della Bachelet, si impegna a portare avanti le istanze del movimento femminista, delle classi più umili, dell’economia verde, e annuncia un intervento keynesiano dello Stato nella riforma delle tasse e delle pensioni privilegiando i ceti più poveri e facendo pagare di più i ricchi per dare a tutti sanità, trasporti e scuola pubblici. Un programma di sinistra, certo, ma Boric ha detto chiaramente che il Cile non sarà mai Cuba, Venezuela o Nicaragua. Una svolta pseudo moderata che ora passa alla prova dei fatti dopo il plebiscito nelle urne.
di Riccardo Jannello By La Nazione