Democrazia

Le democrazie non amano i controlli

di Montesquieu by La Stampa

I regimi democratici rifiutano i controlli del proprio stato di salute istituzionale. A promuoverli, dovrebbero provvedere i partiti, gestori delle istituzioni: ed è comprensibile che non amino farlo.  La relazione tra democrazie e dittature è sottosopra come mai era stata nei decenni del dopoguerra, senza la  rigorosa stabilità della guerra fredda; e i rapporti di forza appaiono sempre più sbilanciarsi a favore di chi può agire senza vincoli di regole, senza la zavorra di minoranze, senza rispetto di diritti. Senza poteri concorrenti. In breve, le dittature tendono a crescere e rafforzarsi, al contrario dei sistemi democratici. Nascono regimi di transito dall’uno all’altro sistema, e li chiamano subdolamente “democrature”, a voler celare o addolcire la realtà: ma la finzione generalmente dura poco. Regimi che si tengono aggrappati all’idea di democrazia per il filo del ricorso alle elezioni: le quali, dove i poteri si concentrano in un potere dominante, possono divenire addirittura perverso strumento di legittimazione. Sulle tendenze evolutive della  relazione tra democrazie e autocrazie ha spunti illuminanti l’intervista che il presidente della Corte costituzionale ha dato a questo giornale nel contesto del Festival torinese dell’economia. Accogliendo quegli spunti, il problema ordinario dell’idoneità dei partiti alla propria missione, quella di dare un governo al paese, non appare l’unico, né il maggiore. La domanda: che dimensione ha la superficie di sicurezza democratica del nostro sistema politico? E,  in sottordine, quella di sicurezza costituzionale, vale a dire di aderenza e fedeltà agli istituti della nostra costituzione? Il primo quesito è ovviamente il più inquietante, ove si rivelassero tendenze non episodiche di distacco dai cardini delle democrazie, indipendentemente dal tipo di sistema istituzionale.
Ed è ancora tutto sommato rassicurante, il responso, a patto che si usino accortezza, vigilanza e prevenzione. Senza bonarietà. Davanti all’inversione della tendenza, per cui oggi si assiste a tentativi di esportazione di sistemi autocratici, le risposte interne  denunciano per ora inettitudine, superficialità,  indifferenza e abissale ignoranza, piuttosto che adesione. Così, ad esempio, l’accoglienza quasi cortigiana che i due vicepresidenti del Consiglio del tempo riservarono al dittatore russo – quello della guerra – in missione italiana per comunicare e certificare la fine della democrazia liberale (aggiunta superflua, quest’ultima). Ancora, la tendenza a denunciare governi “non eletti dal popolo”, in un sistema in cui il popolo elegge solo i propri rappresentanti. Tentazioni di “impeachment” per ignoranza presuntuosa delle prerogative costituzionali del capo dello Stato. Processi concentrati, dall’accusa alla condanna, nell’arco di una citofonata  e tanto d’altro del genere: il tutto concentrato nell’arco di un triennio. Così, con un supplemento di  evidente mediocrità anche morale, la presumibile disponibilità a scambiare con supporti finanziari e ingerenze straniere relazioni internazionali per l’Italia eterodosse. Altroché se ci vuole vigilanza. Mentre la tendenza (sviluppatasi nei primi anni ’90, con la dissoluzione di gran parte dei partiti e il contestuale assorbimento dei relativi elettorati nel primo partito personale, se non proprietario, della nostra storia politica recente, in pieno contrasto con i tratti disegnati nell’articolo 49 della Costituzione), a sostituire la centralità del Parlamento con la centralità del governo, tendenza perseguita a partire dai governi Berlusconi, rappresenta il tentativo di assumere e istituzionalizzare le spinte maggioritarie e cripto presidenzialistiche dei referendum di Mario Segni.

Bersaglio, non la democrazia tout court, ma la sostituzione  del sistema parlamentare, costruito dai padri costituenti in funzione antifascista, con una sorta di artigianale e generico sistema presidenziale ad uso di interessi privati, e a Costituzione “proditoriamente” invariata, ignorata. Alcuni istituti hanno tremato e se sono sopravvissuti lo si deve, essenzialmente e pragmaticamente, ad una sequenza   di capi dello Stato autentici garanti della Costituzione, eletti per fortuite e fortunate coincidenze temporali  da maggioranze in quei momenti radicate nella nostra carta. In definitiva, possiamo ritenere la nostra una democrazia ancora salda, minacciata semmai da sciatteria, improvvisazione, prepotenti interessi privati, ignoranza, imperizia. Populismi vari. Su cui è necessario vigilare, non drammatizzare. Vale la pena di ripeterlo: il paese è in piedi, dopo anni e vicissitudini tremende, grazie al coraggio di un Capo dello Stato, fiero nell’uso delle sue prerogative, e alla presenza, al vertice dei principali organi di governo e di garanzia costituzionale, di personalità dotate della stessa tempra e senso dello Stato e delle sue istituzioni. Allo stato, la vigilanza sulla democrazia è garantita.

montesquieu.tn@gmail.com

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