PREPARIAMOCI A FESTEGGIARE LA MARCIA SU ROMA?

Il 20 luglio (o il 21, se preferite) sarà ricordato per la fine del Governo Draghi e la prospettiva delle elezioni anticipate. 


Per la prima volta nella storia del nostro Paese, si andrà a elezioni politcihe in autunno. Precisamente il 25 settembre.

Nessun precedente, salvo elezioni locali e le regionali del 2020, posticipate da maggio a fine estate a causa della pandemia da Covid.

Cosa succederà nessuno è in grado di prevederlo, al momento. Di certo in questa tragica commedia all’italiana hanno giocato più fattori. E, forse, prima ancora del recente scontro fra Draghi e Conte, ha pesato quanto successo nel gennaio scorso con la riconferma di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Nessuno lo ammetterà mai, nessuno mai lo confermerà, ma c’è da credere che a Draghi fossero state fornite ampie rassicurazioni su un suo passaggio al Quirinale, dopo il ‘sacrificio’ di un anno a Palazzo Chigi.

Del resto, era l’aprile scorso quando per la prima volta – incredulo – ho sentito dire da un autorevole viceministro in carica che si sarebbe andati alle urne in autunno.

Evidentemente, dal suo privilegiato punto di vista, aveva potuto osservare le manovre e annusare l’aria che già stava ammorbando i Palazzi della politica.

Per dirla in breve: Draghi non aveva più voglia di doversi districare fra i continui litigi fra gli alleati di quello che doveva essere un governo di unità nazionale e di tutela degli interessi generali.

I risultati delle elezioni amministrative del 12 e el 26 giugno hanno fatto il resto. La batosta rimediata dalla Lega e dal M5S nel voto per i sindaci di medie e grandi città ha portato le due forze populiste a prendere le distanze dalle scelte del governo e a immaginare che un mettersi all’opposizione o garantire un appoggio esterno avrebbe finito per contenere le perdite se non di recuperare i consensi.

Qui si è realizzato il capolavoro autolesionistico dei pentastellati: si sono addossati la responsabilità di abbattere un governo di cui erano l’asse portante (le loro fibrillazioni venivano da lontano, se lo stesso Di Maio e una cinquantina di parlamentari a cinque stelle s’erano già staccati dal MoVimento) regalando a Salvini la rivincita dopo la figuraccia del Papeete di due anni fa.

In verità, gli uomini e le donne di Giuseppe Conte, non volevano le elezioni anticipate, non era questo l’esito desiderato. Loro speravano di potersi defilare dalle responsabilità di governo e lucrare una rendita di posizioni rispetto a quanti fossero rimasti a tirare avanti la carretta.

Un ragionamento analogo (anche qui, mai nessuno lo ammetterà) riguardo al taglio dei vitalizi e del numero dei parlamentari di cui oggi (in privato) si pentono e si dolgono. Semplicemente, confidavano che gli altri partiti si sarebbero opposti (per poter anche continuare a insultarli). 

Per cui si ritrovano oggi becchi e bastonati.

Addio presidenze di commissioni, addio posti di sottogoverno, addio ruoli di prestigio e prebende. 
 
Chiedo venia al Sommo Poeta:
«Ora si va ne la città dolente,
Ora si va ne l’etterno dolore,
Ora si va tra la perduta gente (…)
Lasciate ogne speranza, voi che ite”

Non meno spregiudicato è stato il centrodestra che di fronte alla guerra alla porte dell’Europa, con  l’inflazione che torna a correre, di fronte a un’emergenza ambientale, idrica e economica non si è lasciata scappare l’occasione di precipitare il Paese in una crisi politica alla vigilia di una delicatissima legge Finanziaria da scrivere, di un Pnrr da mettere a regime, a pochi mesi dalla naturale scadenza della legislatura.

Gli statisti Berlusconi e Salvini (davvero non so quanto possa aver pesato l’amicizia e la simpatia dei due per Putin) avevano fretta di mettersi al servizio della Le Pen italiana.

Adesso c’è soltanto da sperare che a salvarci possa essere il tentativo di mettere rapidamente in piedi un’operazione come fu L’Ulivo di Romano Prodi, che mise insieme una coalizione capace di fermare l’avanzata delle destre.

Pur se, in questa situazione, con un’opinione pubblica più distaccata e sfiduciata che mai, con una campagna elettorale fatta a Ferragosto sotto gli ombrelloni di Rimini o di Viareggio, la disaffezione dal voto si manifesterà in tutta la sua portata.

Lo stesso Pd, a questo punto, si ritrova in una oggettiva difficoltà. Non può più allearsi con il M5S e al centro c’è poco di rilevante elettoralmente. Riusciranno Renzi, Calenda, Di Maio, TotiBrunetta, Gelmini (e la stessa Carfagna) a recuperare almeno in parte i consensi dei tempi che furono?

Giusto per non doversi preparare a festeggiare, il 28 ottobre, i 100 anni della Marcia su Roma, con pancia
 dentro e petto in fuori…

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