PERCHÉ L’ITALIA NON PUÒ FARE A MENO DI MATTARELLA

di Montesquieu 

by La Stampa

Forse non conosceremo mai appieno l’importanza di avere avuto, nella nostra travagliata avventura politica di questi anni del terzo millennio, a capo della nostra Repubblica questo Capo dello Stato.

Anzi, speriamo di non capirlo mai di non doverlo capire mai. Di non capire come avrebbero “guidato” un passaggio come quello di questi giorni, ancora totalmente aperto ad ogni conclusione possibile, ognuna di quelle persone degnissime persone in sé e per sé, che sono state sospinte da mani impreparate a pochi passi da quell’incarico. O tante altre.

Non lo capirà mai, o almeno non lo ammetterà, e ne sarà anzi infastidito, lo stesso Capo dello Stato, lontano intimamente da ogni protagonismo: e mai considerato un protagonista dagli stessi elettori, che gli preferivano, nelle sfide nei collegi palermitani, competitori di tutt’altra statura, e di tutt’altra riservatezza e modestia. Quegli elettori che lo hanno compreso ed apprezzato appieno successivamente, e inaspettatamente in questo incarico di garanzia. Tant’è che fu candidato nel lontano Trentino, più o meno a cavallo dei due secoli e millenni lontano da ogni sfida diretta perché non se ne perdesse quel contributo, di cui dentro i suoi partiti( democrazia cristiana, Margherita e da ultimo partito democratico), si conosceva appieno l’importanza ed il valore.

Questa breve riflessione non sarà ovviamente e giustamente, condivisa da tanti, lo ripetiamo in primo luogo da lui: che, ad un amico che si felicitava il giorno della sua prima elezione al Quirinale, rispose che quello che era stato il suo competitore fino all’ultimo metro era migliore di lui. Più adatto di lui per quell’incarico divenuto d’un tratto, e sarà bene chiedersi perché, tanto delicato ed importante. Lo era altrettanto, sicuramente non di più. Per rassicurarlo va precisato che siamo tanto lontani dal culto della personalità, da aggiungere che il problema delle democrazie non è tanto la capacità di individuare l’uomo della provvidenza, quanto fare sì che quali siano le mani a cui viene affidato il nostro paese, non ci siano rischi da correre. 

Ecco, questo è invece il rischio che corre la nostra democrazia, solida e fragile ad un tempo come tutte le democrazie: una cosa è potersi definire politici e anche leader democratici, non avere grilli di avventure per la testa. Altra cosa, assai più complessa, è condurre guidare una democrazia, anche dopo avere legittimamente vinto la battaglia elettorale. In sintesi: a nessuno dei nostri leader del momento verrebbe in mente di attribuire connotati negativi tali da ritenerli un rischio per la tenuta del nostro sistema. Ma di più d’uno, è legittimo chiedersi se siano altresì in possesso degli attributi necessari per reggere il timone di una società democratica, di esserne fino in fondo garanti. Per tutti. Avere, ad esempio, quello spessore cultura costituzionale, la coscienza piena di concetti come la pluralità dei poteri, la loro reciproca interdipendenza, il loro significato profondo, quotidiano. La sensibilità il pudore, l’altruismo di avvertire il limite consentito in democrazia nell’uso del proprio potere. 

Questi pochi pensieri, senza per ora entrare nei meccanismi di una crisi di governo che è anche crisi di sistema solo per dire della tranquillità con cui il paese può affidarsi alla sua guida costituzionale. Ma anche per non considerarla un fatto banale e scontato per il solo fatto che ci diciamo e siamo una democrazia. 

montesquieu.tn@gmail.com 

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